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Calabria, marzo 2020.
Ginecologia, di nuovo per un caso di un fibroma in famiglia. Non è bastato il mio intervento di asportazione di un fibroma extrauterino di due anni fa. Adesso è il turno di mia sorella.
E a complicare il tutto c’è l’escalation di infetti e malati di COVID in Italia. Il virus fino a qualche mese fa sconosciuto e che ora è l’argomento principe di tutti i quotidiani nazionali e mondiali. Partito dalla Cina, si è rapidamente propagato in tutto il globo, colpendo in maniera piuttosto accanita e veloce il nostro Paese.
Lo scenario è questo:
- Il Nord è in quarantena: Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte hanno visto i primi focolai della malattia e da lì si è diffusa in tutte le altre regioni.
- Molti Stati hanno cancellato, se non vietato!, l’ingresso di cittadini italiani provenienti dalle zone rosse.
- Agli occhi di tutti, siamo gli “untori del mondo”, gli irresponsabili che, con il virus in corpo, sono andati allegramente in giro contribuendo alla sua diffusione.
- Mia sorella aspettava da tempo la chiamata per l’intervento per la rimozione del suo fibroma di circa 10 cm per lato.
- È stata ricoverata proprio quando i casi di contagi hanno avuto un’impennata e il Governo ha stanziato giorno dopo giorno misure sempre più drastiche.
Ed eccoci all’argomento dell’articolo: la degenza ai tempi del Covid.
La ginecologia è da sempre un reparto molto delicato: per la presenza dei bambini appena nati, le donne al termine della gravidanza e tutte le altre ricoverate per altri tipi di operazioni. Le norme per l’ingresso sono sempre state molto rigide. Ricordo che quando sono stata operata le infermiere erano molto severe nel far rispettare gli orari di apertura del reparto, il numero di persone permesse in una singola stanza, il buon senso di non portare dolci e bevande per le nascite, ecc.
Ma ora le cose si fanno più stringenti di giorno in giorno.
Giorno 1: il ricovero (4 marzo 2020)
Il cartello appeso alla porta del reparto stabilisce che sono ammesse solo due persone per paziente. Attaccato subito sotto un altro foglio chiarisce che per nuove disposizioni ministeriali l’accesso è consentito solo a genitori e congiunti. Una sola persona per volta.
Nel frattempo Conte decide di chiudere le scuole e le università per 15 giorni e mette al vaglio l’ipotesi di una maxi riforma per aiutare le famiglie alla gestione dei bambini in casa. Anche gli eventi sportivi sono sospesi e le partite di coppa Italia previste per questa settimana sono rimandate a data da destinarsi. Si scatena anche il caos per quando, come e se far giocare la Serie A. Non che questa sia una priorità, sia ben chiaro… giusto deformazione professionale.
Notizia dell’ultima ora: primo paziente positivo al coronavirus in Calabria. E’ di Catanzaro, di ritorno da una località del Nord Italia, e viene portato in osservazione proprio nell’ospedale dov’è ricoverata mia sorella. Nella tenda allestita per l’emergenza, vicino il reparto di malattie infettive.
Mia sorella esce dal suo reparto e sta con me e i miei genitori in sala d’attesa. Quando entra in camera, faccio a turno con mamma per vedere com’è sistemata e per scambiare altre due parole di incoraggiamento e affetto. Andiamo via perché nessuno può starci durante la notte.
Giorno 2: l’operazione (5 marzo 2020)
Attendiamo in sala d’attesa la fine dell’intervento.
Ansia, agitazione e preoccupazione sono i sentimenti che mi accompagnano per tutta la durata dell’operazione. Alleviati dopo un’ora e mezza solo dall’uscita di una dottoressa per dirci “è tutto ok“. E ridotti ulteriormente solo quando la vedo uscire da dietro quelle grandi e pesanti porte.
Siamo in un grande androne dove c’è un via vai di gente perché è un crocevia tra il reparto di Ginecologia e Ostetricia, quello dedicato ai Day Hospital e le sale operatorie. Inoltre ci sono distributori di merendine, bottiglie d’acqua e caffè e sembra sia un luogo di ritrovo di medici e infermieri a inizio e fine turno. Oltre a noi ci sono i parenti delle pazienti sotto i ferri, donne in attesa di fare il tracciato o altre visite e i loro accompagnatori.
Qui vedo:
- alcune persone cercano di coprirsi la bocca con la propria sciarpa, guardando in modo infastidito tutte le altre;
- una donna incinta entra, poi si ricorda di avere la mascherina e la indossa… per poi sfilarsela dopo neanche 10 minuti;
- delle signore super ansiose non fanno altro che avvicinarsi al dispenser di amuchina e sfregarsi compulsivamente le mani.
L’operazione termina, aspettiamo che portino mia sorella nella sua stanza in reparto. Esce in barella dalle sale operatorie e attraversa tutto l’androne e il corridoio tra la gente. In barba a privacy, norme igieniche e distanza di sicurezza. Mia madre entra con lei. La porta si chiude.
Il governo decide:
- niente abbracci,
- niente contatti diretti tra le persone,
- no all’uso di posate “condivise”, neanche tra i membri di una stessa famiglia,
- gli anziani non devono uscire di casa,
- chi ha raffreddore, tosse e febbre deve stare in casa,
- no ai saluti di congedo durante i funerali,
- minima distanza tra una persona e l’altra: 1 metro.
Inizia l’orario di visita ed esce un’altra novità: non è possibile darsi il cambio per assistere ad una paziente. Se l’orario è dalle 13 alle 15, una sola persona può entrare e stare in camera, per poi uscire entro l’orario di chiusura. Neanche le sorelle sono ammesse: solo la madre e il marito della paziente. Papà o fratelli possono entrare solo se non c’è un familiare donna disponibile. Lasciamo mamma con mia sorella, e io e papà ce ne torniamo a casa.
Lei sta meglio, l’intervento è andato come previsto. Deve ora solo riprendersi dall’anestesia e resistere le prime 24h con flebo e antidolorifico. Poi inizierà la fase di ripresa.
Coronavirus: si registrano casi in Valle d’Aosta: adesso tutte le regioni italiane hanno almeno un caso ufficiale. Gli esperti dicono che il tasso di mortalità del coronavirus è del 3.6%, mentre quello di una semplice influenza è inferiore all’1%. Non è una “banale influenza”. Aumentano gli infettati, ma cresce anche il numero dei guariti e degli asintomatici.
Secondo turno di orario di visite: dalle 19 alle 20. Do il cambio a mamma così può tornare a casa. Mi bloccano alla porta perché entro contemporaneamente con un signore e mi becco un “Dove state andando voi due? Non potete entrare, uscire e poi di nuovo entrare! Una sola persona deve stare per tutta la durata dell’orario di visite.“. Le spiego che non c’è nessun altro con mia sorella e mi defilo nella sua camera.
Sono le 21. Arriva un’infermiera che annuncia nuove disposizioni ministeriali. Da domani non sarà più possibile sostare nelle sale d’attesa. Chiunque verrà trovato in quelle aree, sarà scortato fuori dalle guardie giurate!
Io e mia sorella non vediamo l’ora di tornare finalmente a casa!
Giorno 3: il post intervento (6 marzo 2020)
Passa la notte, fuori ci attende un’alba ottimista. I lunghi raggi del sole sembrano allungarsi, quasi per raggiungere il balcone di questa stanza di ospedale, e infonderci fiducia.
Esco dal reparto prima delle 7:30: infermieri e O.S.S. hanno cominciato a fare le terapie, il giro dei controlli e le pulizie; i parenti che hanno dormito lì devono uscire. Scendo giù al bar a fare colazione e poi risalgo nel famoso androne con i distributori.
Inizia ad arrivare gente. Alcune persone entrano in reparto e si piazzano in sala d’attesa prima di essere cacciati da un’infermiera che esclama “Dovete restare fuori! Ci sono nuove disposizioni del Ministero… Poi vi lamentate se mancano medici e infermieri!“.
Intanto arriva mamma a darmi il cambio. La lascio in quella stanza, dalla quale poi l’hanno cacciata “invitando” le persone che non avevano nulla da fare a tornarsene a casa. Dunque non si può sostare più né dentro né fuori il reparto.
All’ingresso dell’ospedale spunta un avviso con le nuove norme da seguire in caso di febbre e tosse: non si può andare direttamente al pronto soccorso, è vietato l’ingresso in ospedale e bisogna, invece, passare dal pre-triage allestito nel cortile interno dello stabile delle Malattie Infettive.
Aggiornamento sul paziente ricoverato al Pugliese: è positiva anche la moglie. E ora si teme per l’equipe del 118 che è andata a prendere i due. La tensione è percepibile all’interno dell’ospedale, pur essendo in due strutture diverse.
Mamma riesce ad entrare in reparto e a stare con mia sorella per aiutarla nel suo primo giorno post intervento. Flebo e antidolorifico sono stati tolti, le hanno dato da mangiare e da bere e si è alzata. Se tutto va bene domani la dimettono!
Esce una notizia in tutti i quotidiani locali e nazionali: sospesi tutti i ricoveri non urgenti, misure più rigide per chi entra in ospedale, velocizzazione del processo di dimissioni per favorire il recupero a casa. Gli ospedali pian piano si svuotano, nella speranza che i letti ora vuoti non debbano essere riempiti frettolosamente dai malati del coronavirus…
Giorno 4: maledetta febbre! (7 marzo 2020)
Continua la degenza ai tempi del Covid. Per qualche decimo di febbre mia sorella non può tornare a casa. Però già acquisisce mobilità e autonomia: si alza da sola dal letto, può camminare e lavarsi senza troppi dolori. Certo, le ferite ci sono e i punti tirano, ma è forte e supererà tutto.
Intanto la situazione precipita in Italia.
Cominciano a circolare foto e video di persone che dalla Lombardia e dal Veneto (due zone rosse) si sono spostate in Liguria o in montagna nella “casa del mare” o per un weekend sulla neve. Cresce il disappunto sui social. Poi esce la notizia di una coppia di Codogno (cittadina lombarda del paziente 1 in Italia): si è recata a sciare finché non si è sentita male ed è risultata positiva. Il panico, lo sconcerto, la rabbia.
Alla sera, il Governo mette in atto un provvedimento ancora più stringente. Verso le 23 trapelano le prime indiscrezioni: si vorrebbe “chiudere” la Lombardia, vietando o limitando ogni spostamento non necessario da/per la regione e per altri 14 comuni del nord Italia.
Mossi da chissà quale follia, egoismo, ignoranza, incoscienza e strafottenza, le stazioni di treni e autobus di Milano e di altre cittadine lombarde sono prese d’assalto da decine e decine di persone che temono di “restare bloccati a Milano” e di “non poter più tornare a casa”…
Comportamento ingiustificabile che mette a rischio la salute di genitori, zii e nonni dei “cervelli in fuga” al Nord di rientro al paesello.
Giorno 5: dimissioni! (8 marzo 2020)
Ci siamo! La febbre è passata e mia sorella è in uscita!
Intanto in ospedale le misure si fanno sempre più rigide, si vedono più persone indossare le mascherine, nei corridoi non c’è più la calca di qualche giorno fa, c’è un misto di paura e incapacità a comprendere quello che sta succedendo.
Ci lasciamo alle spalle quella struttura fumante, grigia e appannata, ringraziando medici, infermieri e tutto il personale per il gran lavoro che svolgono ogni giorno. Torniamo a casa!
La degenza ai tempi del Covid finisce qui, ma il caos provocato dal dilagarsi del virus non si ferma. Anzi!